Fino a qualche anno fa della Cambogia conoscevo solo la sua storia tragica: il regime dei Khmer Rossi, la politica folle di Pol Pot, il genocidio di un popolo lontano, gli articoli di Tiziano Terzani. Poi, cinque anni fa, i miei genitori hanno adottato a distanza una bambina cambogiana attraverso Helpcode ed è nato in me il desiderio di intraprendere questo viaggio per conoscere da vicino quella realtà.
Sapevo che le scuole in Cambogia sono aperte fino a fine luglio e così a giugno, io e il mio compagno abbiamo acquistato i biglietti aerei e ho contattato l’organizzazione per la visita.
Arriviamo in Cambogia a Siem Reap, una località turistica vicino all’area dei templi di Angkor, nel bel mezzo di un acquazzone che sembra non voler più smettere e mi chiedo se questo viaggio nel periodo dei monsoni è stata una buona idea. Il giorno seguente il tempo è però migliorato, affittiamo uno scooter e scopriamo un paesaggio meraviglioso, di un verde brillante. Visitando i templi millenari di Angkor, di una bellezza unica assieme alla foresta con cui sono ormai diventati un’unica cosa, rivivo le descrizioni dei libri di Terzani.
Poi il nostro viaggio prosegue a nord fino al confine con la Thailandia per visitare un tempio, il Prasat Preah Vihear, aperto ai turisti solo negli ultimi anni a causa dei continui scontri per la rivendicazione di quei territori di confine. Attraversiamo chilometri di campagna di un’area particolarmente arretrata e povera del paese, immersi in una realtà diversa da quella turistica di Angkor e quando incontriamo i bambini all’uscita di una scuola inizio a figurarmi come possa essere dura la vita di quei bambini, delle loro famiglie, a partire dalle condizioni igieniche, in mezzo a quel apparente “nulla” seppur affascinante agli occhi di un turista. Penso a Vatsreytey, il nome della bambina che sto per incontrare, nome che mi è ancora difficile pronunciare, a come possa essere la sua giornata. Le persone tuttavia sono sorridenti, disponibili, e i bambini sono incredibilmente belli e si sbracciano a salutarti e si fanno fotografare per poi rivedersi e ridere.
Il viaggio prosegue verso Battambang su un piccolo battello, 8 ore sul fiume, sembra di tornare indietro nel tempo, i villaggi dei pescatori, le case sulle palafitte, la pioggia del monsone. Poi Phnom Penh, la capitale, fino alla meta finale Sihanoukville, sul mare, dove abbiamo appuntamento con Nicolas, il referente locale di Helpcode. Sihanoukville è una cittadina che mostra il processo accelerato di cambiamento che sta avvenendo nel paese. Si sta costruendo ovunque, palazzi enormi, grandi fabbriche fin sulla costa, è un cantiere continuo e viene da chiedersi quanto di tutto ciò avrà una ricaduta in termini di benessere reale sulla gente comune. Nei cantieri lavorano donne e bambini e certamente vedere passare qui una Lamborghini e una Porsche ci fa uno strano effetto.
Al mattino seguente il nostro arrivo abbiamo appuntamento con Nicolas, che si è gentilmente tenuto in contatto con noi assieme a Federica, dall’Italia, per tutto il viaggio, accompagnato dal coordinatore locale Harry Lao e dal responsabile della chiesa cattolica della città. Quando arriviamo alla scuola di Beng Taprum l’impatto per me è strano: l’edificio ha un cortile interno, i bambini sono nelle classi e la costruzione mi ricorda, per un attimo, il liceo Tuol Sleng di Phnom Penh, che abbiamo visitato appena due giorni prima, oggi diventato museo, che tra il 1975 e il 1979 era stato utilizzato dai Khmer Rossi come luogo di detenzione e di tortura di migliaia di cambogiani. Ma è solo il pensiero di un momento, quando scendiamo dall’auto ci accoglie la preside che ci guida verso un’aula, quella di Vatsreytey.
Quando mi trovo di fronte questa bambina di dieci anni, decisamente cresciuta rispetto all’ultima foto che ci è stata spedita, sono emozionata, ci salutiamo con le mani giunte come si usa in Cambogia, non so cosa dirle, mi spiace crearle questo momento di imbarazzo, non so esattamente cosa le sia stato detto rispetto la nostra visita e riesco solo a sorriderle e a donarle uno zainetto ed alcuni regalini per lei ed i compagni. In questi anni ho cercato di spiegare ai miei genitori, ormai anziani, lo scopo che ci deve essere alla base di una adozione a distanza, dove il bambino che adotti è il tramite per aiutare un progetto rivolto non solo a lui ma ad una comunità più allargata, per dare delle opportunità a più bambini. Ed è quello che penso, forse per questo non ero preparata a incontrare nella realtà quella bambina cresciuta nelle foto che mia madre tiene assieme a quella mia e di mio fratello sul comò. Mi ha emozionato, ma non ho saputo dirglielo, sono solo riuscita a sorriderle.
Nel giro di qualche minuto sembra scoppiato l’intervallo, i bambini si riversano nel cortile, si mettono in posa per farsi fotografare, giocano, sono curiosi per il nostro arrivo. Hanno bellissimi sorrisi, sono tantissimi, ci travolgono con la loro energia. Dalla gioia con cui accolgono lo staff locale di CCS è evidente quello che rappresenta per loro, è bello vederli giocare con Harry. Comunichiamo con qualche parola di inglese, ma non è necessario. Nicolas ci spiega che lo studio dell’inglese non fa parte del programma della scuola elementare, solo alcuni bambini che possono permetterselo lo studiano al di fuori della scuola.
Andiamo poi a visitare una seconda scuola elementare ed infine una scuola primaria che ci colpisce per l’ordine e la pulizia notevole rispetto lo standard cambogiano, peccato che i bambini non ci sono perché sono già iniziate le vacanze, troviamo solo la maestra a cui facciamo i complimenti.
Al ritorno andiamo alla sede dell’organizzazione e prima di salutarci facciamo ancora alcune domande per capire meglio quello che abbiamo appena visto. In Cambogia, uno tra i paesi più poveri al mondo, proprio grazie alla sua tragica storia, operano numerose ONG che collaborano tra loro. Harry ci racconta qualcosa della vita di Vatsreytey, che è poi la condizione comune a moltissimi bambini cambogiani: pur avendo entrambi i genitori, è rimasta da sola con la madre e la sorella, per potersi mantenere la madre si è trasferita a lavorare in una fabbrica, lontana dalla scuola e per un certo periodo la bambina ha smesso di frequentare.
Nicolas ci spiega che l’istruzione di base è in teoria accessibile a tutti, ma nella realtà c’è un’altissima percentuale di bambini che abbandonano e non terminano la scuola per motivi diversi, perché i genitori si trasferiscono per lavoro, perché abitano in villaggi lontani da raggiungere, perché iniziano a lavorare troppo presto, perché i genitori non possono permettersi di mandare i figli a scuola o perché a volte non ne capiscono l’importanza presumo. E mi viene in mente mia madre che è una persona molto semplice ma che ha scelto una bambina proprio perché sa che per le femmine è ancora più difficile avere un’istruzione.
Harry ci riaccompagna infine alla guesthouse e durante il tragitto abbiamo modo di chiacchierare ancora un po’, nonostante il mio inglese approssimativo. Ci racconta di come stia cambiando il paese, di come gli investitori cinesi stiano portando un progresso che non sempre gli piace, di come si ricorda la costa da bambino quando non c’era nulla. Ci sembra una brava persona, molto concreta, che crede nel lavoro che sta svolgendo.
Partiamo dalla Cambogia senza la pretesa di aver capito chissà che cosa, ma con la testa piena di immagini bellissime e tragiche allo stesso tempo, con la consapevolezza che il progresso in un paese del terzo mondo è un percorso difficile e le disuguaglianze sono intollerabili.
Tra i ricordi che mi porto a casa c’è senz’altro il viso intelligente e il piglio risoluto di una ragazzina, presumo mussulmana visto che portava il velo, incontrata nella scuola di Beng Taprum, e che ai miei complimenti per la sua ottima pronuncia inglese mi sorride ed annuisce con una certa fierezza e consapevolezza di valere. Mi piace pensare, sperare per lei e per gli altri bambini che ho incontrato che il loro futuro sarà migliore, grazie anche al lavoro di Helpcode, un’organizzazione seria il cui operato ho potuto verificare direttamente sul posto.
Ringrazio Helpcode, Federica Guzzetti e Nicolas Saunier per avermi permesso di vivere questa esperienza.