Sono arrivata a Kathmandu da qualche giorno e la prima cosa che ho notato sono i segni, ancora chiari e visibili, della distruzione del terremoto del 2015. Sono molte le iniziative che abbiamo posto in essere per mitigare le conseguenze del sisma, ma questa volta sono in Nepal per un altro motivo, monitorare l’avanzamento del nostro progetto – finanziato dall’Unione Europea – a favore delle donne vittime di violenza. Il progetto ha come obiettivo l’aumento della partecipazione delle donne nepalesi al processo di pace e sicurezza nazionale, dopo il lungo conflitto civile che ha attraversato il paese tra il 1996 e il 2006.

Questa mattina, insieme ai colleghi dell’organizzazione nepalese con cui collaboriamo, abbiamo preso il primo volo per raggiungere Bardiya, un distretto al confine con l’India.  Le forti turbolenze e i ripetuti vuoti d’aria fanno gelare il mio entusiasmo. Guardo fuori dal finestrino, contemplare le vette dell’Himalaya mi aiuta a recuperare la calma, è uno spettacolo meraviglioso.

 

 

Bardiya è un posto molto isolato dove il silenzio regna sovrano. Oggi è un giorno speciale, si inaugura un monumento alla pace, costruito per ricordare le vittime della guerra civile. Per la  comunità locale il monumento ha un valore fortemente simbolico. La guerra civile ha devastato il paese per oltre 10 anni (dal 1996 al 2006), provocando oltre 13.000 morti tra combattenti e civili. Molte donne sono rimaste vittime di ogni tipo di violenza: fisica, sessuale e di genere. Coloro che sono sopravvissute al conflitto continuano a soffrire di problemi fisici, psichici ed economici conseguenti al lungo periodo di soprusi e instabilità politica. Inoltre, in quest’area è presente un forte stigma sociale verso le donne vittime del conflitto.

 

 

Donne e ragazze vittime del conflitto partecipano ai corsi promossi da Helpcode per aiutarle a trovare il coraggio di denunciare presso le autorità competenti le violazioni subite.

Il nostro progetto mira a favorire l’accesso alla giustizia e alla riabilitazione socio-economica per queste donne in sette distretti del paese. A Bardiya l’attività di counselling psicologico e assistenza legale è stata molto intensa e, proprio in questo distretto, abbiamo registrato il maggior numero di donne che hanno denunciato violenze. Dall’inizio del progetto sono state quasi 900 le donne che hanno ricevuto un supporto legale e logistico. Nei casi più gravi le donne ricevono un indennizzo economico, beni di sostentamento o input per l’avvio di attività economiche.

 

 

Durante la giornata ho incontrato alcune donne, testimoniavano di sparizioni di figli, mariti, e di soprusi subiti da entrambe le fazioni durante la guerra civile. Una testimonianza che non dimenticherò è quella di una donna vedova seduta davanti a me, che perse la figlia durante la guerra. Dopo anni di richieste è riuscita ad ottenere un piccolo, ma importante, risarcimento dalle istituzioni. La sua felicità è durata poco. Il genero si è preso tutto, mandandola via di casa e lasciandola sola, in preda alla povertà e alla disperazione. Il suo dolore, esplicitato da un pianto composto, mi ha toccato in profondità, mi sono sentita in imbarazzo e nell’impotenza di non poter fare nulla.

Mi auguro che con un più ampio intervento di sostegno delle donne vittime del conflitto si possa arrivare a un cambio di approccio rispetto al tema della giustizia, e che queste donne possano ricevere quanto dovuto. Non credo mi abituerò mai a queste storie e a questi luoghi, ma allo stesso tempo mi motivano a continuare ad impegnarmi per un mondo più equo, dove la giustizia sia garantita, a tutti, uomini e donne.