“Le donne qui sono come dei trattori”: quando, qualche mese fa, durante una discussione di gruppo con i membri di due associazioni di contadini di Gorongosa, qualcuno ha fatto questa osservazione, tutti – donne comprese – ci siamo messi a ridere. Una risata che è diventata presto amara, perché se quell’affermazione da un lato riconosce il lavoro fondamentale che le donne svolgono nelle zone rurali, dall’altro rende esplicito il modo in cui, troppo spesso, le donne vengono considerate e trattate – in Mozambico e in molti altri Paesi del mondo. Dis-umanizzare le donne, assimilarle a macchine, significa spogliarle dei loro diritti e della possibilità di reclamarli, negare loro la possibilità di fare scelte autonome, di avere diritti e aspirazioni, considerarle una proprietà al servizio del marito.

In questa rappresentazione delle donne così diffusa, anche la violenza nei loro confronti diventa normale e giustificata: “le donne qualche volta hanno bisogno di una bella ripassata di botte” – quante volte abbiamo sentito questa frase in Mozambico (e non solo!), e quante volte l’abbiamo vista e la vediamo ripetuta nei rapporti tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra fidanzati, tra compagni di classe e di gioco. La violenza è un aspetto della vita con la quale le donne imparano a convivere sin da piccole e che, proprio per questo, loro stesse spesso arrivano a giustificare: “è assim, somos mulheres, devemos sufrir” (è così, siamo donne, dobbiamo soffrire).

 

 

In Mozambico esiste un quadro normativo avanzato che condanna la violenza di genere e che garantisce protezione e supporto alle vittime, frutto di anni di lavoro e attivismo di organizzazioni della società civile che promuovono i diritti delle donne e di impegno delle istituzioni. Tuttavia, c’è un divario ancora troppo ampio tra la legge scritta e la sua applicazione e molte, troppe, donne non hanno accesso alle informazioni e ai servizi che le tutelano, o hanno paura di utilizzarli perché temono di peggiorare la situazione, di non essere credute dagli agenti di polizia, o di essere trattate con condiscendenza.

 

 

La lotta alla violenza nei confronti delle donne e delle bambine è una delle attività che portiamo avanti da più tempo: lo facciamo con il cinema mobile, organizzando serate in cui, nei villaggi, si proietta sul nostro grande schermo viaggiante un film o un documentario e poi si dibatte con la comunità su questi temi; lo facciamo sostenendo le attività produttive delle donne, in particolare quelle più vulnerabili – consapevoli che il miglioramento delle condizioni economiche non è di per sé una soluzione alla violenza di genere; lo facciamo attraverso formazioni sui diritti che coinvolgono anche gli uomini, e promuovendo una maggiore condivisione delle responsabilità di cura all’interno della famiglia; lo facciamo lavorando nelle scuole con i bambini e gli adolescenti, usando la danza e il teatro per riflettere sulle dinamiche della violenza e della pace, costruendo bagni adeguati, formando gli insegnanti sulla lotta alla violenza di genere – che spesso è perpetrata anche nelle scuole.

Sradicare le strutture, le norme e le pratiche che condonano la violenza nei confronti delle donne è fondamentale per il futuro di un Paese: per questo, ancora una volta, puntiamo sui bambini e bambine, su ragazze e ragazzi come motori fondamentali del cambiamento di attitudini, pratiche e norme nelle loro comunità.

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