Dopo mesi di acceso conflitto le due forze politiche in opposizione hanno firmato una tregua, ma Fatima e la sua famiglia hanno deciso di non fare ritorno nella loro casa.
Sono moltissime le famiglie, che come quella di Fatima, hanno preferito rimanere nei campi profughi o nascoste nella foresta, in attesa di essere certe che questa pace sarà duratura. Preferiscono non rientrare ancora nelle loro case, ma aspettare che le truppe militari si ritirino completamente dalla zona di Sofala.
I pochissimi abitanti che hanno deciso di rientrare nelle loro abitazioni si sono ritrovati dinanzi ad uno scenario di pura devastazione: scuole distrutte o vandalizzate, centri di salute crivellati di proiettili. Uno spettacolo che ha segnato ancora più profondamente queste genti, provate nel corpo e nello spirito dal conflitto che si è appena concluso, senza nessuna risorsa e con l’inverno alle porte.
Non possiamo voltare lo sguardo dinanzi ai tanti bambini che come Fatima, dopo aver provato l’orrore della guerra sulla loro pelle, si vedono privare del diritto all’istruzione, alla salute e di quei diritti fondamentali per ogni bambina e bambino.
Per contrastare tutto ciò nasce il Progetto Resilienza Sofala.
La “resilienza”, ovvero “ritorno alla normalità”, è l’obiettivo di questo ambizioso progetto che, partendo da Tazaronda, villaggio natale della piccola Fatima, vuole coinvolgere oltre 100.000 persone in 11 diverse comunità nella provincia di Sofala, ripristinando il pieno funzionamento delle infrastrutture scolastiche e dei centri di salute, in modo da riportare bambine e bambini a scuola monitorando il loro stato di salute e quello dei loro famigliari. Saranno anche promosse in tutte le comunità attività nutrizionali, igienico sanitarie e momenti di condivisione su quanto accaduto durante i mesi di guerra, in modo da porre le basi per rinsaldare le cicatrici lasciate da questi mesi di guerra.
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