Diretti a Mbuto ya madzi per individuare una sorgente d’acqua, abbiamo lasciato la strada principale e risalito un lieve pendio per alcuni chilometri, dove i tronchi mozzati e anneriti indicano che la vegetazione, già rada, è stata tagliata in vista dell’imminente stagione agricola. Una volta l’inizio della semina avrebbe coinciso con il periodo delle piogge, ma da alcuni anni le piogge tardano ad arrivare.
“La sorgente d’acqua che state cercando è poco oltre la collina” ci dice il mfumu, il leader della comunità di Mbuto ya madzi, ma non tutto il gruppo che ci accompagna è d’accordo con lui. Anche noi siamo consapevoli che probabilmente quel corso d’acqua è ormai scomparso. In Mozambico, nel Distretto di Maringue, nella sempre più lunga stagione secca quasi tutte le sorgenti rimangono senz’acqua e le donne percorrono a piedi anche più di 10 chilometri al giorno per raggiungere la fonte più vicina.
Eppure alcuni indizi come la morfologia del terreno, insieme a quel nome Mbuto ya madzi che in lingua sena significa “luogo dove si accumula l’acqua”, ci hanno convinto che siamo sulla strada giusta. Come in Italia alcune località prendono il nome da particolari proprietà idriche del luogo (Dolceacqua, Acqui Terme, Fontanafredda), in Mozambico è possibile incontrare toponimi che indicano regioni dove l’acqua si raccoglie fino a formare piccoli bacini o alberi la cui fioritura suggerisce la fine della stagione delle piogge. Per quanto possano sembrare il risultato di antiche credenze popolari, sono in realtà tracce preziose per comprendere un territorio complesso e spesso sconosciuto.
Esplorazione di un’area alla ricerca di una fonte
Nel corso di uno studio per individuare la località migliore nel quale realizzare dei pozzi multiuso per consumo umano, abbeveramento del bestiame e rifornimento di una piccola serra – per il progetto “PROFILI”, realizzato con il finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – stiamo identificando tutte le sorgenti d’acqua presenti nel Distretto di Maringue, insieme al geologo Stefano Gambini dell’Istituto Oikos.
Lo studio idrogeologico è essenziale per localizzare e quantificare l’acquifero dal quale attingere l’acqua. L’acquifero è il contenitore dove si accumula l’acqua nel sottosuolo e può avere caratteristiche differenti a seconda del tipo di materiale di cui è formato. Studiare un oggetto impossibile da vedere è un percorso complesso e affascinante nel quale cerchiamo di raccogliere quante più informazioni ci aiutano a capire dove si trova.
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Giunti nei pressi dei pozzi, dopo aver informato tutti i presenti dei motivi della nostra visita, con l’aiuto della comunità smontiamo la pompa manuale e misuriamo la qualità dell’acqua tramite una sonda multi-parametrica portatile e la profondità tramite il freatimetro, uno strumento che per l’occasione ci siamo costruiti. Il freatimetro funziona come un circuito elettrico ed è costituito da un filo che collega un sondino a una lampadina. L’acqua, essendo conduttrice d’elettricità, quando viene a contatto col sondino collocato nel pozzo fa accendere la lampadina in superficie permettendo così di capire la profondità della falda.
Tutta la comunità ci aiuta nelle operazioni di apertura del pozzo
Freatimetro casalingo
Più aumenta l’area esplorata e si aggiungono dati, più il puzzle si completa e anche le incognite che all’inizio sembravano inspiegabili assumono una loro logica; si intuisce il movimento che compie l’acqua nel sottosuolo e si restringe il campo dei possibili siti dove realizzare il pozzo.
Dopo questo primo studio siamo un passo più vicini al nostro obiettivo. Nei prossimi mesi lavoreremo con le comunità beneficiarie per formare un gruppo che sarà incaricato di gestire il pozzo e proseguiremo le indagini per individuare l’acqua nel sottosuolo.