Immaginiamo, per un momento, cosa significhi per i bambini crescere in un contesto di conflitto.

La quotidianità si trasforma in un labirinto di incertezze, privazioni e paure. Significa dover affrontare non solo la minaccia fisica, ma anche il peso psicologico di un ambiente ostile. Gli episodi traumatici che si insinuano nell’immaginario infantile possono compromettere lo sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini.

In questo contesto, a Cabo Delgado, in Mozambico, i Child Friendly Spaces nascono come luoghi sicuri allestiti nelle zone colpite dalle emergenze. Possono avere aspetti molto diversi a seconda dei contesti in cui si trovano: possono essere delle tende, un’area recintata all’ombra di un albero o una stanza adibita a questo specifico scopo. Qualunque sia la forma, il denominatore comune è il fatto di essere sempre un posto sicuro e accessibile a bambini e bambine di sesso, età e necessità differenti.

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I Child Friendly Spaces non sono solo luoghi fisici, ma vere e proprie comunità in cui i più piccoli possono riscoprire la normalità, dove l’apprendimento diventa una forma di resilienza. Attraverso attività ludiche, supporto psicologico e iniziative educative, i bambini in queste aree riescono a riguadagnare un senso di controllo sulla propria vita, mentre gli operatori dedicati si impegnano per alleviare il peso delle loro esperienze traumatiche. Abbiamo parlato di questo con Giulia Moro, Responsabile settore protezione di Helpcode in Mozambico.

“Partiamo da un presupposto importante: i bambini sono più delicati degli adulti, ciò significa che il modo in cui il contesto li segna, potrebbe determinare un solco nella loro crescita e nel loro modo di guardare il mondo. Eppure, sono molto più resilienti, emotivamente più pronti al cambiamento e a ricominciare la propria vita con semplicità.

Per affiancarli durante il processo di riappropriazione dei diritti e di accompagnamento psicologico, abbiamo costruito un manuale, che nell’ambito della cooperazione si chiama MHPSS (Mental Health and Psychosocial Support), con cui li supportiamo in molteplici attività: dal “rompighiaccio”, ossia la fase iniziale di costruzione di un gruppo e della comunità, alla fase “conoscere le emozioni” che aiuta a leggere le emozioni e interpretarle fino alla costruzione della resilienza e del concetto di rete.

Le attività che svolgiamo nei nostri Child Protection Spaces servono per trasmettere il messaggio che ogni reazione ed emozione è “normale” e che si è liberi di essere arrabbiati, tristi o anche solo confusi per quello che sta succedendo alla propria famiglia, qui. E che qui, possiamo imparare insieme come affrontarle.

Se ritenuto opportuno, poi, i bambini possono essere indirizzati nella cosiddetta ‘gestione di caso’, una forma di supporto individuale gestita da psicologi e, laddove necessario, anche da medici o legali che possono dare sostegno in presenza di abusi.

La guerra priva i bambini della loro infanzia, ma i Child Friendly Spaces rappresentano un impegno concreto nel ripristinare ciò che a loro è stato sottratto.”

Il progetto si integra nelle attività di Education in Emergency (EiE) ed è realizzato insieme a Plan International e finanziato da ECHO, Unione Europea.