Fernanda è ferma davanti alla sua casa. Ha lo sguardo fisso sull’unico muro rimasto in piedi. Intorno, ci sono solo macerie.  Quando ci vede, dirige i suoi occhi gonfi di lacrime verso di noi e fa qualche passo nella nostra direzione, zoppicando vistosamente. Ci accorgiamo che il suo piede destro è molto gonfio. “Io e mio marito eravamo in casa quando è arrivato il ciclone. Nel momento di massima intensità le tegole sono volate via e un albero di cocco, sradicato dalla forza del vento, ha colpito la nostra casa buttando giù il muro. Sono stata colpita al piede da una tegola caduta dal tetto. Per fortuna stiamo bene, ma la nostra casa è distrutta”.

 

In questi giorni, tra Beira e la provincia di Sofala, abbiamo incontrato tante persone come Fernanda. Il ciclone Idai ha stravolto milioni di vite, ognuna con la sua storia da raccontare. Come quella di July, che incontriamo sulla sponda di un torrente. O meglio, quello che era un torrente e le piogge hanno trasformato in un fiume impetuoso. Guarda dall’altra parte del fiume, verso un gruppo di case allagate. “Non sento i miei famigliari dal giorno del ciclone. Non c’è rete e tutte le comunicazioni sono impossibili. Questo fiume è esondato portandosi così via l’unica strada di accesso al mio quartiere. Un amico che è riuscito a passare dall’altra parte mi ha riferito che parte della mia casa è crollata. Devo per forza raggiungere l’altra sponda per sapere se la mia famiglia è ancora viva. Se non c’è altro modo, attraverserò a nuoto il fiume,  anche se la corrente è molto forte e diverse persone che ci hanno provato hanno perso la vita. Ma non ho alternative”.

 

Il riparo provvisorio di una persona sopravvissuta al ciclone Idai, a Beira.

Ripari provvisori per chi è rimasto senza casa dopo il ciclone Idai

 

Quando non hanno perso tutto, gli abitanti di Beira hanno comunque dovuto subire esperienze traumatiche che hanno lasciato in loro un profondo segno. “È iniziato già nel pomeriggio, ma dalle 23 il vento ha iniziato a soffiare davvero forte. È stato in quel momento che le tegole sono state strappate via dal tetto. Verso mezzanotte improvvisamente il vento si è fermato – racconta Jorge – Pensavamo che il peggio fosse passato ma verso le 2 di notte si è scagliato con la massima forza come se fino a quel momento ci avesse solo annunciato il suo arrivo. Non ci ha dato tregua fino alle 6 del mattino. Io, sono rimasto tutto il tempo seduto sul divano nell’unica stanza in cui non arrivava l’acqua, in attesa che tutto fosse finito. Al mattino, quando sono uscito di casa la città era irriconoscibile”.

 

Dopo una catastrofe del genere, la geografia di un luogo che conosci tanto bene è stravolta. Cerchi un punto di riferimento, qualcosa che ti possa far capire che il posto in cui ti stai muovendo è proprio quella città. Per noi, a Beira questo posto è stato il So bolos. Al bar dove a Beira si è soliti bere un caffè e mangiare un dolcetto si respira una strana atmosfera: il giardino completamente distrutto, pochi tavoli, il bancone vuoto, qualche sacchetto per coprire i vetri che si sono rotti. La proprietaria, mozambicana ma di origini portoghesi, ci dice che ha subito qualche danno ma che è pronta a ripartire. Le cameriere con la solita divisa bianca, sul quale spunta il ricamo del loro nome, ci accolgono col sorriso, ma ci avvertono: “Abbiamo solo toast, caffè solubile e tè”. Si comportano come se fosse un giorno come un altro, ma alla prima domanda: come va? La casa, la famiglia? Ci rispondono: “Non abbiamo più il tetto e ci sta piovendo in casa ma stiamo bene. Fazer o que? Che dobbiamo fare?” Per arrivare al lavoro le cameriere sono costrette ad attraversare a piedi i quartieri allagati, scavalcando gli alberi caduti che bloccano la strada. Ma sono tutte lì, puntuali e professionali come sempre. Forse, l’unico modo per ricominciare è vivere come se fosse un giorno normale.

 

Aiuta Fernanda, Jorge, July e tutte le persone colpite dal ciclone Idai. 

 

DONA ORA