In meno di 24 ore, a partire da giovedì 14 marzo, il ciclone Idai ha devastato la città di Beira e tutta la provincia di Sofala. I nostri colleghi che vivono e lavorano tra Beira e Gorongosa si stavano preparando da lunedì: hanno messo in sicurezza gli uffici, i mezzi di trasporto e le loro case, divulgato informazioni e misure precauzionali. Abbiamo seguito su siti specializzati l’andamento del ciclone, sperando che diminuisse di potenza o che si scaricasse in mare, e quando è stato chiaro che avrebbe colpito Beira e la provincia, abbiamo deciso che era opportuno far evacuare Pietro, con la sua famiglia, e Matteo a Vilankulo – il rischio che rimanessero isolati e che non potessimo comunicare con loro per giorni era reale, e da scongiurare. I colleghi mozambicani sono rimasti a Gorongosa, dove era sì previsto l’arrivo del ciclone, ma con un’intensità minore rispetto a Beira.
Gli allagamenti provocati dal ciclone (foto di Fanie Jordaan)
La popolazione in fuga dalle zone colpite dal ciclone (foto di UNICEF Mozambique)
Giovedì in tarda mattinata sono iniziate le piogge accompagnate da raffiche di vento fortissime; abbiamo visto le prime immagini della città danneggiata – alberi e pali caduti, case scoperchiate, la copertura degli spalti dello stadio di Beira accartocciata su se stessa – ma, a partire dalle 19, si sono interrotte tutte le comunicazioni con Beira e con Gorongosa. Abbiamo ricevuto i primi messaggi dai colleghi di Gorongosa solo venerdì sera: stavano tutti bene, e per quello che potevano vedere alcune case erano andate distrutte, altre scoperchiate. Beira, invece, sembrava diventata una città fantasma: con le linee di comunicazione completamente interrotte, era impossibile comunicare con chiunque fosse rimasto in città. La conoscenza del fenomeno, e dei problemi strutturali della città di Beira – molti dei suoi quartieri si trovano sotto il livello del mare – e della Provincia – la maggior parte delle case sono costruite con materiali tradizionali – faceva temere il peggio, mentre d’altro canto si sperava che la situazione non fosse poi così grave.
Sabato sono iniziate ad arrivare le prime notizie, quelle di una catastrofe: il 90% degli edifici della città è distrutto, le strade sono impraticabili – a oggi è impossibile arrivare a Beira via terra -, la rete elettrica è interrotta. Le immagini che hanno iniziato a circolare mostrano una città e una Provincia sott’acqua, case spazzate via, alberi abbattuti, voragini nelle strade, ponti caduti. Con le prime informazioni è arrivato anche il conto delle vittime: 28 prima, poi 55, 84 persone, fino a ieri sera, quando il Presidente Nyusi ha dichiarato che il numero delle vittime potrà raggiungere il migliaio: il ciclone ha colpito gravemente anche le vicine Province di Manica, Tete, Zambezia. Si parla, inoltre, di 17.000 sfollati, di oltre 100.000 persone con necessità di sostegno immediato, e di 600.000 persone ad alto rischio per gli effetti del ciclone, ma il numero pare destinato a salire ancora – anche a causa della nuova allerta meteo diramata fino a giovedì 21 marzo per piogge torrenziali nella Provincia di Sofala e nelle Province limitrofe.
Allagamenti nella Provincia di Sofala (foto di Fanie Jordaan)
Danni all’aeroporto turistico di Beira (foto di Fanie Jordaan)
Con la riapertura dell’aeroporto di Beira e l’arrivo dei primi soccorsi, sono emersi i bisogni più urgenti: ci sono ancora persone che devono essere salvate – tanti sono sui tetti, sugli alberi – manca acqua potabile, cibo, medicinali. Il rischio di una crisi di colera è altissimo; i magazzini con le scorte della produzione agricola e di sementi sono andati distrutti. Le scuole sono chiuse, gli ospedali e i centri di salute non sono in grado di fare fronte all’emergenza. Alcuni villaggi sono stati spazzati via completamente, e negli ultimi due giorni diverse persone sono morte tentando di attraversare le strade mangiate dai fiumi straripati. Moltissimi non hanno ancora notizie delle loro famiglie, degli amici.
Le vie di comunicazione ricoperte da alberi e fango (foto di UNICEF Mozambique)
I bambini e le loro famiglie osservano le loro case ricoperte dall’acqua (foto di Nigrizia)
I nostri colleghi mozambicani sono bloccati a Gorongosa a causa dell’interruzione delle vie di comunicazione e da ieri sono impegnati in un’analisi rapida dei bisogni immediati delle comunità con cui lavoriamo; Matteo e Pietro sono rientrati ieri a Beira in aereo e stanno partecipando alle attività di coordinamento per la gestione dell’emergenza. Ci aspettiamo settimane, mesi durissimi per tutta la popolazione della Provincia di Sofala e di tutte le aree colpite dal ciclone. Ma estamos todos juntos, come si dice qui, e siamo tutti preparati a fare il possibile per contribuire a gestire questa situazione difficilissima.