Come ti sei avvicinato al mondo delle ONG? È nata prima la tua passione per la fotografia o il tuo interesse verso l’ambito della cooperazione?  

Da piccolo sfogliavo i libri di foto e gli atlanti e guardavo documentari a casa mia e dei miei nonni. Adoravo le immagini e sognavo di mondi lontani. Quando avevo 14 anni papà comprò un’analogica, e iniziai ad usarla. Ma la fotografia è stata solo un hobby fino a pochi anni fa. Quando ero al liceo erano i tempi delle proteste di Seattle, del G8. Ero interessato alle questioni globali, capire le cause della disuguaglianza. All’Università ho studiato economia e relazioni internazionali. Finiti gli studi ho iniziato a lavorare nell’ambito della cooperazione internazionale con diverse ONG. La macchina fotografica era sempre con me. Le immagini che scattavo erano una sorta di diario di bordo: mi aiutavano a tenere i ricordi. La fotografia mi aiutava ad osservare meglio le cose, a capirle. Ma era semplicemente un passatempo. Qualche anno fa, mentre vivevo in Mozambico, ho deciso che volevo provare a trasformare questa passione in un lavoro. Mi sono messo a studiare e ho realizzato il mio primo reportage, FULLY BOOKED, che racconta la vita all’interno del Grande Hotel di Beira, uno degli edifici occupati più popolosi al mondo: in poco tempo la fotografia e il video sono diventati un lavoro. 

Qual è la difficoltà maggiore quando si lavora in contesti di emergenza o post emergenza come a Cabo Delgado?  

Al di là della questione sicurezza, visto che alcune zone di Cabo Delgado dove ho realizzato l’ultimo reportage sono zone instabili, a volte mi blocco pensando che quel che faccio sia inutile o invasivo. Mi è capitato ad esempio a Mueda, qualche settimana fa, mentre fotografavo una bimba di pochi mesi che stava in braccio alla nonna. Mentre fotografavo si è girata e ho visto che la bimba era malnutrita. Mi sono bloccato. Mi sono sentito inutile. Ma è stato solo un istante, perché sono consapevole di quanto sia importante documentare queste realtà.  

Qual è secondo te il potere più forte della fotografia? 

Le immagini rendono la realtà tangibile agli occhi di chi la guarda e sono importanti per svelare certi problemi, senza doverli mercificare o banalizzare. Per cercare di far andare diversamente le cose. Chiaramente bisogna scattare nel pieno rispetto delle persone che si hanno davanti. Cerco sempre di andare con cautela e delicatezza, di leggere e capire le persone. Di passare del tempo con loro, di parlare, di farle sentire a proprio agio. Solo se si crea un rapporto di fiducia posso fotografare e raccontare delle storie attraverso le immagini. 

Paolo Ghisu

Fotografo e Videomaker