Sono arrivata a ridosso delle elezioni in Tunisia del 15 settembre. Mi sono ritrovata subito catapultata in un dibattito politico e sociale che infervora tra i tunisini di tutte le età.

 

Mi ha portato qui un tirocinio nell’ufficio Helpcode per il mio Master in Cooperazione e Sviluppo dell’Università di Pavia. In particolare ha catturato la mia attenzione il progetto Femmes et Jeunes pour la Paix. È un’occasione irrinunciabile poter approfondire la contro-narrativa e la prevenzione dell’estremismo violento e dell’educazione alla pace. Questi temi sono poco studiati. Non ci sono molti progetti che si occupano di PVE/CVE (preventing violent extremism e countering violent extremism), ma soprattutto manca un’analisi esauriente dei risultati e dell’effettività degli stessi.

 

Nelle strade di Tunisi ho già avuto la possibilità e la fortuna di incontrare molta gente, soprattutto giovani, ansiosi di raccontarmi la loro visione della Tunisia e della situazione politica ed economica, della classe dirigente, delle speranze e dei sogni per il futuro della loro nazione.

 

Le elezioni in Tunisia si sono tenute per la seconda volta dopo la rivoluzione del 2011 ma, questa volta, il risultato ha sorpreso l’intera nazione. Il 13 ottobre andranno al ballottaggio i due candidati che hanno raccolto il maggior numero di preferenze: il professore di diritto Kais Saïed e il magnate delle telecomunicazioni Nabil Karoui, entrambi volti nuovi della politica tunisina.

 

I risultati del voto di metà settembre evidenziano una sfiducia del popolo tunisino nei confronti dei precedenti governi, incapaci di apportare cambiamenti reali e migliorare la situazione economica in cui versa la Tunisia.
Sono soprattutto i giovani a essere delusi dalle precedenti classi dirigenti: in un Paese dove il tasso di disoccupazione giovanile arriva quasi al 40% sono proprio loro a voler diventare promotori e protagonisti di un cambiamento.

 

Silvia parla con alcune sue coetanee delle elezioni in Tunisia

 

Ho visto interesse per la politica in molti giovani ma non sembra aderire del tutto ai dati relativi all’affluenza; questa è calata drasticamente se confrontata con il 2014. In realtà, da quanto ho potuto riscontrare parlando con ragazzi e ragazze (prevalentemente di estrazione medio-alta e di educazione universitaria), il sentimento prevalente è di diffidenza verso entrambi i candidati. Molti mi hanno confidato di non aver alcun interesse a partecipare al ballottaggio.

 

Traggo questa breve analisi dai dibattiti ai quali ho avuto il piacere di partecipare in queste settimane, discussioni con nuovi amici ma anche con sconosciuti incontrati al ristorante. Mi ha colpita la passione di questi incontri, la voglia di scoprire e imparare di più sulla politica e le politiche del mio paese e il desiderio di raccontarsi e di ragionare insieme.
I discorsi e i sentimenti che animano i giovani sono simili: la voglia di essere parte del cambiamento sociale accomuna tutti a prescindere dalla nazionalità.

 

I giovani tunisini dimostrano una grande vivacità intellettuale. Rispetto a molti coetanei italiani ed europei, sono molto più attenti alle dinamiche della politica, della società e dell’attualità internazionale. Inoltre, ho conosciuto molti attivi nel sociale, ragazzi e ragazze che si battono per i propri diritti formando piccole associazioni locali e club di dibattito universitari.

I ragazzi e le ragazze che ho avuto il piacere di incontrare mi hanno raccontato i giorni della rivoluzione del 2011; nonostante molti fossero ancora degli adolescenti tutti hanno ricordi vividi. Alcuni mi hanno descritto le manifestazioni di quei giorni e gli episodi di violenza, come il lancio di pietre e oggetti; altri, principalmente figli di sostenitori del governo di Ben Ali, di come abbiano trascorso quei giorni chiusi in casa. Tutti sono però d’accordo su una cosa: il vento di libertà e di democraticità post rivoluzione, nonostante sia da molti visto come causa di declino della situazione economica nel Paese, è stato positivo. Un primo, necessario passo verso una democrazia libera, un paese dove i giovani possono esprimersi, conoscere e crescere.

 

Una veduta dell'università di Tunisi

 

Dai miei coetanei tunisini ho potuto anche ascoltare racconti sulla radicalizzazione e sull’estremismo violento. Due ragazzi mi hanno parlato di un loro compagno di classe che, dopo essere stato bocciato all’ultimo anno, si è isolato e ha allontanato tutti i vecchi amici e compagni. Dopo qualche mese, la foto sul suo profilo Facebook lo ritraeva in posa con arma e sorriso sulla faccia mentre combatteva a fianco dell’ISIS in Siria.

 

Adesso è tornato in Tunisia, non parla più con i vecchi compagni, nessuno di loro conosce i dettagli della sua partenza e del suo successivo ritorno. I due ragazzi mi spiegano come, secondo loro, sia partito perché deluso dalla scuola e spaventato dall’impossibilità, a seguito della bocciatura, di riuscire a trovare un lavoro che gli permettesse di guadagnarsi da vivere. Mi raccontano di come sia difficile per i giovani in Tunisia lavorare e di come molti vedano quale unica possibilità quella di lasciare il Paese: alcuni tentano, legalmente o meno, di raggiungere l’Europa; altri decidono di partire per la Siria o l’Iraq e combattere con gruppi estremisti.

 

La Tunisia è un Paese costantemente in bilico tra l’idea di democrazia occidentale e i legami culturali, religiosi e sociali con il mondo arabo. Credo che i presupposti per crescere e diventare un esempio per gli altri paesi del Nord Africa ci siano e, soprattutto, credo che saranno i giovani e le giovani della Tunisia a traghettare il paese verso questo risultato.

 

Silvia Barbaro