Sembra un giorno normale, qui a Kathmandu, mentre faccio colazione a casa.

Mi preparo, esco, ed ecco che una volta fuori mi sembra di non riconoscere la città che è casa da quasi un anno a questa parte.

Silenzio, nessun clacson che suona e, una volta arrivata su Ring Road, l’arteria principale perennemente intasata dal traffico, rimango stupita osservando così tante persone che camminano tranquillamente, mani in tasca, chiacchierando tra di loro, in mezzo a una strada di solito persino difficile da attraversare perché percorsa da fiumi di macchine, camion e moto.

Sembrerebbe bellissimo, mi sento in un universo parallelo, come appena sbarcata, e sono entusiasta di poter camminare per un giorno senza respirare quell’aria densa e sporca dello smog di Kathmandu.

In realtà non è una notizia così positiva come potrebbe sembrare. Il motivo per cui Kathmandu si è trasformata per qualche ora in una città pedonale è che oggi è stato proclamato “Bandha”, ossia sciopero generale: nessuno deve utilizzare mezzi di trasporto, e chi osa provare rischia concretamente di vedersi assaltare e veder dare fuoco alla propria macchina o moto.

 

Foto da NepalTimes

 

Kathmandu è in piazza perché, arrivati alla quarta scadenza, in Parlamento i partiti ancora non riescono a mettersi d’accordo per promulgare la Costituzione.

Il 22 gennaio 2015 era la data ultima per l’Assemblea Costituente per presentare la nuova Costituzione del paese. Pare che i partiti non riescano a mettersi d’accordo tra di loro per la creazione di uno stato Federale e per la suddivisione degli stati interni del Nepal: c’è chi propone la ripartizione su base etnica (i gruppi etnici, secondo i dati del 2011 del CIA Factbook, sono 125), chi basandosi su indicatori economici.

La situazione, già difficile di per sé, non è certo aiutata dalla giungla in cui si muovono i partiti nepalesi che, dalla fine della guerra civile nel 2006, cercano di dare ordine a un paese uscito da una monarchia centenaria e trasformato in una Repubblica: sappiamo bene, però, che non bastano cambiamenti a livello legislativo, emendamenti o regole scritte per far sì che un paese (sconvolto, in questo caso, da dieci anni di guerra) proceda sui giusti binari verso benessere e sviluppo, come sappiamo che non bastano per garantire equilibrio e giustizia sociale. Il problema, inoltre, del potere e di tutto ciò che questo porta con sé (ricchezza personale e corruzione in primo luogo) non aiuta a scindere chiaramente la finalità del benessere del Nepal dagli interessi personali e di partito. Il partito Maoista da solo (a capo di una coalizione di 19 partiti) è abbastanza per creare un caos tale che in Parlamento si è arrivati a risse con tanto di sedie tirate e rovesciate e ricoveri in ospedale.

Il termine ultimo per la promulgazione è passato, e la Costituzione non c’è. La situazione a Kathmandu (e nel resto del Nepal) sembra tornata alla regolarità, ma non si sa cosa accadrà dopo. Sembra tutto sospeso in una situazione di apparente normalità, con la fastidiosa sensazione che la tranquillità sia solo apparente. Pare che ci sarà un nuovo bandha nazionale, il 28 febbraio. Ancora nulla di confermato.

Noi rimaniamo a guardare e continuiamo a lavorare. Nelle nostre zone d’intervento (specialmente a Chitwan e Makwampur) possiamo svolgere il nostro lavoro senza preoccupazioni, sapendo di trovarci fuori dai problemi politici grazie a dieci anni d’intervento di qualità: sull’importanza del nostro operato e sull’efficacia dello stesso abbiamo la fiducia di tutte le entità politiche.

Siamo consapevoli di quanto sia determinante il nostro sostegno, ma siamo altrettanto consapevoli che senza una stabilità di governo, senza delle policies adeguate e una forte volontà politica di miglioramento, al nostro impegno mancherà sempre un tassello fondamentale che lo affianchi per uno sviluppo sostenibile e duraturo della nazione.