Nel 1972 viene pubblicato il “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, uno studio commissionato dal Club di Roma, associazione nata nel 1968 di cui originariamente facevano parte economisti, scienziati, uomini d’affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di stato di tutto il mondo.
Il Rapporto, anticipava di quasi cinquant’anni quello che oggi ormai è una certezza: il nostro modello di sviluppo economico, a causa delle risorse presenti in quantità fissa in natura, ha un limite. Ora quel limite lo stiamo rapidamente raggiungendo.
Gli organismi internazionali, in primis l’Organizzazione delle Nazioni Unite, hanno cercato di governare la “crescita” per preservare gli equilibri del pianeta con una serie di provvedimenti. Uno degli appuntamenti più rilevanti è stato probabilmente il Summit della Terra tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, la prima conferenza mondiale dei capi di stato sui cambiamenti climatici, dove era già chiara ed evidente l’urgenza di individuare un percorso per costruire uno sviluppo sostenibile universale.
Nulla o molto poco è stato fatto da allora a oggi.
Facciamo un salto temporale di oltre vent’anni e arriviamo al 25 settembre 2015, data in cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha approvato l’Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile. 17 obiettivi (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese), articolati in 169 target, un’agenda ambiziosa, ma che rappresenta l’unica possibilità per il nostro pianeta.
L’elemento innovativo rispetto al passato è che l’attuazione di questa Agenda richiede il coinvolgimento di tutte le componenti della società: imprese, prime tra tutte, settore pubblico, società civile, università e centri di ricerca e operatori dell’informazione e della cultura.
Tutti siamo chiamati a contribuire. Noi di Helpcode lo facciamo già per nostra mission, ma abbiamo deciso di rafforzare il nostro impegno, per essere più incisivi e più efficaci. Siamo partiti dal convegno sf_amarsi, dello scorso febbraio, per intraprendere un percorso di coinvolgimento del mondo delle imprese in attività di co-progettazione e collaborazione. Abbiamo la convinzione che sia nostro compito “contaminare” e sensibilizzare il settore privato, perché senza un business migliore non ci sarà mai un pianeta migliore, o peggio, non ci sarà più un pianeta.
Questo impegno, non serve solo alla cura del pianeta, ma fa bene anche al business. A dirlo, un rapporto del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), per il quale il valore del business delle imprese potrebbe aumentare di 0,5-1,5 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 introducendo modelli economici che tengano conto dell’impatto che generano sulle risorse naturali della Terra.
Dobbiamo pensare alla sostenibilità ambientale, economica e sociale per assicurarci la prosperità e possiamo farlo solo attraverso un cambiamento radicale.
Noi siamo pronti, siamo innovativi, usiamo la tecnologia per superare confini e per risolvere problemi. Siamo appassionati del nostro lavoro e siamo convinti che solo con un approccio integrato e condiviso tra tutte le componenti sociali e un agire sinergico potremo farcela. E, ormai è certo, conviene anche alle imprese, se vogliono continuare a prosperare.
Dalla teoria alla pratica
Kwaku è un contadino di Gorongosa nel Nord del Mozambico. Kwaku produce patate. Nonostante i suoi sforzi, vive di sussistenza con i soldi guadagnati con le patate vendute nei mercati locali. Il terreno si consuma, i parassiti indeboliscono il frutto del suo lavoro, lui si impoverisce, così come il terreno.
Kwaku non ha accesso a sementi di qualità, mezzi di produzione e sistemi di irrigazione adeguati. Vive in una zona rurale remota. Il suo potere di contrattazione con i compratori è nullo. A tutto questo si aggiunge la mancanza di infrastrutture e macchinari adeguati per la conservazione e la trasformazione dei prodotti, elementi che potrebbero aggiungere valore alle sue patate.
Come rendere sostenibile la produzione della patata di Gorongosa?
Con il rafforzamento della filiera agricola, partendo dalla coltivazione e dalle tecniche di irrigazione e concimazione. Serve inoltre un’organizzazione più efficace e competitiva della commercializzazione del prodotto. Vanno altresì verificate le possibilità di esportazione, nel rispetto di criteri ambientali, economici e sociali del paese.
In Mozambico stiamo facendo tutto questo, in partnership con ALCE (Associazione Ligure Commercio Estero) grazie a un finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS*).
*L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, istituita dalla legge 125/2014, prevede l’inserimento dei soggetti profit nel sistema della cooperazione italiana.
Scopri di più sulle nostre attività in Mozambico!