Anusha era una ragazza nepalese di soli 22 anni, qualche giorno fa è stata ritrovata senza vita in una capanna non lontano dal suo villaggio, soffocata dal fumo del fuoco che aveva acceso per scaldarsi la notte. Qualche mese prima, una simile sorte è toccata a Puja, che non è sopravvissuta al rigido clima invernale, in una capanna simile a quella in cui fu trovata Anusha. Lo scenario era lo stesso per Shanti, quando fu morsa letalmente da un serpente.

Storie accomunate dal “Chhaupadi Pratha”, un’antica pratica che prevede l’isolamento delle donne durante il periodo mestruale e nei primi giorni dopo il parto. Il ciclo mestruale resta un tabù per molte comunità rurali nepalesi, e viene spesso connotato con superstizione e pregiudizio. Durante questi giorni le donne non possono entrare in contatto con persone, animali, alimenti, e sono costrette in piccole capanne costruite appositamente ai margini dei villaggi.  Oltre a questo isolamento forzato, le donne possono assumere solo del riso e non hanno a disposizione coperte per ripararsi dal freddo, ma solo un tappeto su cui distendersi.

Oltre ai rischi legati al freddo e agli animali selvatici, questi ripari sono spesso vecchie stalle o costruzioni in fango e paglia che creano non pochi problemi di salute.

La Corte Suprema Nepalese, nel 2015, ha dichiarato la pratica del Chhaupadi Pratha illegale, tuttavia il suo radicamento nella tradizione locale induista, fa sì che venga praticato ancora da molte famiglie. In alcuni casi sono le stesse donne a scegliere di sottoporsi a questa pratica, nella convinzione che ciò proteggerà le loro famiglie e i loro cari.

Il Chhaupadi Pratha non è l’unica usanza che mette a rischio la vita delle persone in Nepal.

“Piangevo disperatamente, non volevo andare. Ero una bambina, non sapevo cosa pensare”, racconta Tanuja,  14 anni, costretta a sposare un ragazzo che non conosceva.

Forti pressioni sociali e condizioni estreme di povertà costringono molte ragazze e ragazzi al matrimonio ai primi segni di pubertà. Oltre al trauma causato dal passaggio forzato alla vita adulta, gravidanze precoci alzano drasticamente il rischio di morte durante il parto, mentre i figli nati da donne troppo giovani hanno maggiori probabilità di morire in età prenatale. Nel migliore dei casi, le bambine sono costrette a lasciare gli studi per occuparsi dei figli, intrappolate in un vizioso vortice di povertà.

Negli ultimi anni, la maggiore visibilità e denuncia di queste pratiche ha generato più consapevolezza nell’opinione pubblica e il coinvolgimento diretto di organizzazioni locali e internazionali. Sono stati fatti importanti passi a livello legislativo per arginare queste pratiche, ma il cambiamento di usanze radicate nella cultura e nella storia di una comunità richiede tempo e uno sforzo in più. Serve informazione, sensibilizzando su tematiche igieniche e sanitarie, parlando di diritti riproduttivi femminili e coinvolgendo istituzioni, leader religiosi e politici.

Per noi la difesa dei diritti delle donne non può slegarsi dal diritto all’istruzione, al cibo e alla salute. Per questo i nostri progetti in Nepal hanno come obiettivo il miglioramento delle condizioni di vita per le bambine, i bambini e le donne che abitano nelle aree più remote del paese.

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*I nomi utilizzati nell’articolo sono nomi di fantasia.