Amina ha vent’anni e viene dal Mali. All’inizio del 2018 si è sposata con Umar, anche lui del Mali, contro il volere della sua famiglia. La loro scelta non fu capita e nemmeno accettata dalla loro comunità. Decidono di scappare, di lasciare il loro paese alla ricerca di una vita migliore, in Europa.

Durante il viaggio sono fermati da un gruppo armato, fanno parte di una delle tante milizie che si contendono porzioni di territorio libico. Vengono portati a Bani Walid – in Tripolitania, circa 150 km a sud di Tripoli in uno dei centri di detenzione non riconosciuti dall’autorità libica.

In quell’inferno Amina fu torturata e porta i segni delle ustioni provocate dall’acido su tutto il corpo. Ci racconta che ancora oggi fatica a dormire a causa del dolore.

L’abbiamo incontrata nel campo di Trik al Sikka, uno dei campi dove da qualche mese interveniamo per portare beni di prima necessità e garantire accesso ad acqua e servizi igienici. In questo centro è protetta e, per quanto possibile curata, ma i segni degli abusi sono impressionanti.

Amina non chiede nulla, non si aspetta nulla. Non vuole tornare indietro, nel suo paese, i genitori non glielo permetterebbero. La salutiamo dove l’abbiamo incontrata, seduta, su una panchina, nella speranza che qualcosa nella sua vita possa migliorare.

 

 

Abdulrahim invece di anni ne ha sedici e viene dalla Sierra Leone. Nella foto è il ragazzo con la maglia blu al centro. Nel 2016 Abdulrahim perse entrambi i genitori, colpiti dal virus Ebola. Gli rimase solo il fratello e insieme decisero di lasciare la Sierra Leone per costruirsi una vita migliore.

Il viaggio per arrivare in Libia è stato terribile ed è arrivato solo. Il fratello è stato raggiunto alla testa da un colpo di pistola sparato da un militare di una delle milizie che li aveva catturati lungo il tragitto. Lo abbiamo incontrato nel centro di Tajoura. Ci racconta che sono ormai sei mesi che si trova qui. Non ha nessuno da poter contattare, non ha nessuna idea di dove andare e non sa neppure quando uscirà dal quel centro. Giornate fatte di attesa, per un futuro che proprio non riesce ad immaginarsi.

Sono moltissime le storie di vita che incontriamo nei tre centri detenzione migranti in cui operiamo da gennaio 2018. In questi mesi vorremmo dare un volto alle migliaia di persone intrappolate in quei centri, senza sapere cosa ne sarà della loro vita e quella dei loro cari.

Vogliamo dar loro voce perché parlare di migrazione non può essere soltanto un freddo calcolo statistico o una percentuale sulle prime pagine dei giornali. Al centro delle migrazioni ci sono prima di tutto persone con sogni, speranze e il desiderio di un futuro migliore.

Scopri cosa stiamo facendo in Libia.

 

 

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